venerdì 9 novembre 2007

Novembre '44: strage all'ospedale di Forlì


manifesto di propaganda della Repubblica Sociale Italiana




VENT’ANNI di dittatura, una guerra sciagurata e terribile, l’alleanza con Hitler e la persecuzione degli ebrei. All’indomani della liberazione, i fascisti vennero chiamati in massa sul banco degli accusati di un tribunale informe, cieco e sanguinario. Che spesso risparmiò i grandi colpevoli e invece si accanì contro i deboli e anche contro gli innocenti. Non c’è bisogno di polemiche sul revisionismo per bollare le atrocità che, a guerra finita, macchiarono anche la nostra terra. Gianfranco Stella, che ha dedicato parecchi libri agli eccidi partigiani in Romagna, parla di una quarantina di morti all’indomani della liberazione di Forlì e oltre 160 morti in totale nella provincia di Forlì-Cesena tra il ’44 e il ’45. Dati affidati più alla memoria che a un computo scientifico che non c’è mai stato.

UNO DEGLI ECCIDI più sconcertanti è senza dubbio quello avvenuto all’ospedale di Forlì nelle prime ore della liberazione della città. Una decina di soldati e simpatizzanti fascisti ricoverati (per ferite di guerra ma anche per semplici malattie o incidenti) vennero trucidati in spregio a qualsiasi norma del diritto di guerra. «Da confidenze che mi sono state fatte da vecchi partigiani — afferma Vittorio Dall’Amore, consigliere provinciale di Alleanza nazionale — non si trattò però di atti preordinati da parte di reparti combattenti scesi dalla montagna. E’ più probabile che abbiano agito partigiani dell’ultim’ora: personaggi che con questo eccidio volevano accreditarsi come ‘patrioti’».
Le famiglie delle vittime per anni si sono rinserrate in un doloroso silenzio e le celebrazioni della fine della guerra hanno sempre impietosamente dimenticato quell’evento tragico. Tutto è rimasto legato al pietoso ricordo di mogli e figli. Come Vera Zangari che il 10 novembre 1944 pianse la scomparsa del padre. «Indelebile è la memoria di quel lontano giorno — racconta — e il dolore lacerante è ancora dentro di noi, compagno della nostra vita di orfani, mai consolato».
«Eravamo quattro figli: tre femmine e un maschietto di nove anni — prosegue — Avevamo tanto bisogno di nostro padre, ma ce lo hanno tolto, scaricandogli un mitra in pieno petto, mentre giaceva inerme, immobile e ingessato per un incidente, in un letto sistemato in cantina, rifugio possibile per difenderci dagli attacchi aerei inglesi». Guglielmo Zangari era stato ricoverato al Morgagni per un incidente stradale: era stato travolto da un’auto tedesca ed era stato ingessato. Non aveva incarichi militari o di partito particolari, ma la sua era una famiglia notoriamente fascista. Sapeva di essere nel mirino e per questo aveva chiesto ai familiari di riportarlo a casa, in via delle Torri. Ma tre partigiani lo andarono a cercare proprio lì, forse dopo essere passati dall’ospedale.
«Noi più piccoli abbiamo sentito gli spari e visto tre giovani partigiani (in divisa) scappare di corsa — racconta ancora la donna — Avevano ‘giustiziato’ un uomo onesto, un cittadino che amava la Patria, un bravo padre di famiglia, che ci aveva educate a rispettare gli altri nel nome della giustizia e della libertà di tutti. La sua morte è passata sotto un tragico silenzio. Il passaggio del fronte, il senso di solitudine e di abbandono in quel lungo inverno sconvolto da truppe straniere ci riempivano di paura. Era lo sgomento di giovani vite private di ogni speranza per la perdita di un padre affettuoso, guida e sostegno per il loro cammino ancora da intraprendere».

«L'ANNO SUCCESSIVO e altri anni ancora — conclude Vera Zangari — hanno segnato la fine misteriosa e assurda di tanti altri uomini, giovani o padri di famiglia, rei di aver aderito al fascismo in cui avevano creduto per la forza di ideali sociali e nazionali. Ci avevano creduto, se ne erano nutriti e li avevano vissuti in piena coscienza e onestà. Barbaramente sono stati eliminati come delinquenti, uccisi a sangue freddo da giudici spietati, incapaci di sentimento umano, imbevuti di una ideologia perversa che prendeva a modello le innumerevoli uccisioni eseguite nella Russia di Lenin e di Stalin. Questa è storia, verità che deve farci riflettere e guidare la nostra vita, senza lasciarci fuorviare da inganni e menzogne».

Nessun commento: