domenica 30 dicembre 2007

Labari e preghiere: i funerali dei trucidati a Thiene



Il culto della morte ha sempre avuto un ruolo centrale nella pratica politica fascista, ma se nel primo dopoguerra e durante il regime era funzionale soprattutto alla costruzione dell’ideologia, nel secondo dopoguerra è diventato il luogo fondamentale — basta pensare a Predappio — dell’affermazione della presenza e della dignità politica del rinato movimento. Uno snodo cruciale di questa vicenda che si
trascina ancora ai giorni nostri fu dunque, giusto mezzo secolo fa, il funerale delle 14 vittime dell’eccidio di Thiene. Il 21 dicembre 1957 furono riportate a Forlì, tra i gagliardetti dei reduci e i saluti romani, le spoglie dei militari forlivesi della Rsi trucidati a guerra finita, in una delle stragi più crudeli e sanguinarie dell’immediato dopoguerra. Le esequie si svolsero alla chiesa del Suffragio in un clima di comprensibile tensione.

Il 17 maggio 1945 una ‘squadra della morte’ di partigiani forlivesi entrò in azione a Thiene, in provincia di Vicenza, dove a guerra finita erano stati concentrati parecchi ex militari repubblichini. Ne prelevarono quattordici da un carcere improvvisato, semplicemente sulla base di una lista compilata dal Cln di Forlì: contro di loro non c’erano né accuse né giudizi legali, erano solo prigionieri di guerra come migliaia di altri. La motivazione addotta dai partigiani per il ‘prelievo’ illegale era l’ordine del Cln o del comando di brigata di raccogliere gli ex combattenti nemici per sottoporli al giudizio di un ‘tribunale del popolo’ nei luoghi d’origine.

I fascisti 'nostrani' furono dunque separati dagli altri e letteralmente strappati ai familiari. Nei libri di memorialistica fascista si racconta che tutti si resero immediatamente conto di andare incontro alla morte. Furono caricati su un camioncino rosso targato Forlì e portati in una zona isolata, presso una vecchia trincea. Qui avvenne l’esecuzione a colpi di mitra. Caddero Angelo Aguzzoni, Benito Castagnoli, Alfredo Cimatti, Giovanni Fabbroni, Ermanno Guardigli, Olindo Lazzarini, Luigi Montanari, i fratelli Nello e Odone Picchi, Giuseppe Ragazzini, Libero Rossi, Francesco Sampieri, Giuseppe Simoncelli, Domenico Valbruccioli. Alcuni operai di una vicina cava furono obbligati a ricoprire alla meglio i corpi con palate di terra. E vennero minacciati di non rivelare a nessuno quello che avevano visto.

Ma l'eccidio, anche nel clima di giustizia sommaria e vendetta che avvolgeva quei mesi, destò una grande impressione. Già l’8 agosto 1945 i carabinieri di Thiene denunciarono per omicidio volontario alcuni partigiani forlivesi. Tra alterne vicende, arresti e scarcerazioni, l’iter processuale andò avanti fino al 1958, quando la Corte d’assise di Vicenza condannò a 20 anni di reclusione Annibale Bertaccini, Bruno Servadei, Dino Sughi e Renato Morigi, assolvendo altri partigiani imputati. I giudici chiarirono che, a guerra finita, l’eccidio era stato niente più di un delitto comune, aggravato per giunta dall’appartenenza degli imputati alla polizia partigiana. Le pene vennero però interamente condonate e i killer tornarono tranquillamente alla loro vita, pur venendo emarginati dallo stesso Pci.

Un anno prima che gli fosse in qualche modo resa giustizia, le famiglie delle vittime poterono riportare a Forlì le spoglie dei loro cari. Nello stesso periodo del ritorno della salma di Mussolini a Predappio dopo un decennio di damnatio memoriae, anche gli ‘eredi’ del fascismo avevano in qualche modo riconquistato almeno il diritto a onorare pubblicamente i loro morti.

Emanuele Chesi

domenica 23 dicembre 2007

Uno sguardo all'Impero

Dopo la conquista dell'Etiopia, la carta dei territorio dell'Impero sotto la loggia di Palazzo Albertini, in piazza Saffi a Forlì

venerdì 7 dicembre 2007

Campo Dux


Forlì anni Trenta, parata al Campo Dux