nella foto: soldati polacchi a Predappio nel 1944
di Emanuele Chesi
«MENTRE ABBANDONIAMO l’ospitale città di Forlì porgiamo a Dio la preghiera più calda per la libertà della oppressa Polonia e la prosperità dell’Italia»: così recita l’iscrizione della lapide posta in San Mercuriale dai militari polacchi della Divisione Kresowa. I soldati che avevano risalito la penisola combattendo valorosamente da Montecassino a Ancona e su fino a Bologna, lasciarono ufficialmente Forlì il 15 novembre 1947. Il Giornale dell’Emilia il giorno dopo riportava la cronaca delle celebrazioni presiedute dalle autorità civili, dal comandante polacco Piatkowski e dal vescovo mons. Rolla, con queste parole: «Dopo il saluto agli ultimi reparti polacchi in partenza, qualcosa, oltre il clamore, è rimasto, qualcosa che resterà nel cuore della città romagnola e dell’Italia, qualcosa di grande, che resterà nella storia, e qualcosa di piccolo ma di estremamente importante che resterà nella vita».
I SOLDATI POLACCHI, dopo un primo momento di diffidenza per la ‘città del Duce’, si erano infatti ambientati al meglio in Romagna. Scontata l’ostilità (ricambiata) verso i comunisti, i cattolicissimi polacchi avevano trovato da noi una seconda patria. E molti — il Giornale dell’Emilia dice addirittura settemila — avevano addirittura trovato moglie. «Bimbi paffuti sorretti da braccia polacche ed italiane»: questa l’immagine scelta dal cronista dell’epoca, Arnaldo Bueri, per sottolineare il legame particolare sorto a cavallo della tragedia bellica. Un legame che si è perpetuato negli anni grazie alla vivace comunità italo-polacca forlivese e all’associazione dei reduci.
L’ARMATA polacca creata dal generale Anders era nata nel 1942 in Iraq: lì si erano raccolti i patrioti scampati all’occupazione nazista e gli ex militari liberati dai lager sovietici su pressione inglese, dopo il fallimento dell’alleanza tra Hitler e Stalin. Inviati in Italia all’inizio del 1944 (ma altri contingenti combatterono con gli Alleati in Africa e poi in Normandia), i soldati polacchi si erano coperti d’onore tanto da meritare il riconoscimento simbolico della ‘conquista’ di Predappio, il 24 ottobre 1944, nell’anniversario della Marcia su Roma. Nel 1939 Mussolini aveva salutato l’invasione nazista con un entusiastico «La Polonia è liquidata». Cinque anni dopo un ufficiale di Anders scrisse nel registro della visite della casa natale del Duce: «La Polonia non è liquidata!».
IN ROMAGNA i polacchi presero parte ai combattimenti più cruenti, pagando un duro tributo di sangue. Il loro apporto alla liberazione delle nostre terre fu fondamentale. E non sempre gli è stato riconosciuto nella giusta forma.
LE CERIMONIE di commiato del 15 novembre 1947 furono «brevi e sobrie», scrive ancora il Giornale dell’Emilia. Nella chiesa di Santa Lucia venne officiata una funzione religiosa presieduta dal cappellano polacco Adalberto Rolek, alla presenza del vescovo di Forlì. Il legame tra l’Italia e la Polonia (evidenziato addirittura nelle strofe dei due inni nazionali) venne esaltato con la deposizione di una corona d’alloro alla lapide, sotto il portico del Municipio, che ricorda il sacrificio di Francesco Nullo, l’eroe forlivese caduto per la libertà della Polonia nel 1863. E per i polacchi, che si avviavano a tornare in un paese ormai sotto il tallone di ferro sovietico, non era certo secondario ricordare la lotta per l’indipendenza dalla Russia.
CONCLUDENDO le cerimonie con un breve discorso, il colonnello Piatkowski rese omaggio ai quattromila morti dell’Armata polacca in Italia. Il coro dei soldati del 2° Corpo che intonavano l’inno nazionale suggellò la solennità del momento. «Fuori la nebbia si scioglieva in una pioggerella fitta fitta — racconta il cronista del Giornale — E sembrava che facesse lustrare i volti anche agli ultimi ufficiali del 2° Corpo polacco immobili sull’attenti, al riparo del portico».
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