martedì 22 aprile 2008

Elezioni 1948. il grande scontro tra attacchini rossi e preti d'assalto


Quando persino Mike Bongiorno e Lascia o raddoppia erano un’ipotesi futuribile, la politica era rabbia e sudore. E si faceva in piazza, faccia a faccia, nella bolgia dei comizi finali, con gli oratori (più nemici che avversari...) che si alternavano sullo stesso palco e tentavano di incantare la folla tra gli applausi dei sostenitori e le urla e gli sbeffeggi dei contestatori. Giusto sessant’anni fa, a far da contraltare all’ultima sonnolenta campagna elettorale, si concludeva una delle più infuocate competizioni politiche della storia repubblicana: le fatidiche elezioni del 18 aprile 1948. Quelle che, con la vittoria della Democrazia cristiana sul Fronte popolare (Pci-Psi), segnarono definitivamente l’appartenenza dell’Italia al campo democratico occidentale.Forlì non si era ancora ripresa dalle devastazioni della guerra, sfollati e senza tetto erano numerosissimi, alloggiati in sistemazioni d’emergenza come caserme e magazzini. Le condizioni economiche erano penose per la stragrande maggioranza dei cittadini e il confronto politico era avvelenato dalla fortissima contrapposizione ideologica. Forse solo la comune provenienza dall’antifascismo e dalla lotta partigiana tratteneva le principali aree politiche — democristiani, repubblicani e socialcomunisti — dal passare a vie di fatto. Nelle cascine di montagna e nei depositi sotterranei i ‘rossi’ avevano ancora le armi della guerra di liberazione e dall’altra parte i carabinieri erano pronti a rifornire non solo i ‘bianchi’ ma anche, e soprattutto, i reduci della Repubblica sociale pronti ‘ad arginare il bolscevismo’.I LEADER si chiamavano Agosto Franco (il sindaco della liberazione) e Adamo Zanelli per il Pci, Giovanni Braschi e Gino Mattarelli per la Dc, Giusto Tolloy per il partito socialista e Bruno Angeletti per il Pri. Pure non mancarono episodi di tensione in quella burrascosa campagna elettorale. In primo luogo la contesa verteva sugli spazi elettorali, con una lotta all’ultimo manifesto sui muri della città, prevalentemente di notte. E non di rado capitava che i pennelli intrisi di colla diventassero randelli, mentre chi si arrampicava sulle scale correva il rischio di essere ‘sabotato’ da qualche avversario sbucato dal buio.Dopo la rottura dell’unità tra le forze della Resistenza, il Comune era saldamente in mano alla sinistra e in particolare il Pci faceva il bello e il cattivo tempo in città. Le stesse mura del Municipio erano un immenso cartellone elettorale del Fronte popolare con l’emblema di Garibaldi. Un volto che, nella propaganda democristiana, si trasformava nel ghigno di Stalin. Perché il ‘pericolo rosso’ era costantemente agitato dallo scudocrociato e dalle altre forze di destra. ED ANCHE LA CHIESA era scesa pesantemente in campo coi Comitati civici (che davano indicazione di attaccare i manifesti all’alba, per evitare che venissero strappati dagli attacchini comunisti che invece entravano in azione a mezzanotte). Non solo, le parrocchie diventarono centro di propaganda pro-Dc. «Dopo cena si discute quasi fino alle 23 — si legge nel diario di don Antonio Pirondi dell’Oratorio San Luigi alla data del 19 marzo 1948 — C’è anche il parroco. Argomento: l’andata di alcuni nostri giovani a Bologna per il discorso di De Gasperi». E il 14 aprile: «Dopo cena vengono piccoli e grandi e dopo un po’ di gioco vanno quasi tutti per manifesti...». I preti si davano da fare, all’insegna dello slogan «Nella cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no!». Il 18 aprile, almeno in città, le elezioni si svolsero comunque con ordine. La prevalenza del Fronte popolare fu nettissima: 21.232 voti ai socialcomunisti (43%) contro 11.220 (23%) alla Dc, 13.376 (27%) al Pri, poco meno di tremila voti agli altri partiti, tra i quali per la prima volta il Movimento sociale italiano (791 voti). A livello nazionale invece prevalse la Dc e per il Fronte popolare la sconfitta fu bruciante. «Sì, fu uno choc per la vecchia classe dirigente del partito — ricorda l’ex sindaco Angelo Satanassi, allora giovane esponente del Pci — La prima riunione dopo le elezioni si svolse in clima pesante e preoccupato. Ne uscimmo con la riflessione che occorreva incalzare De Gasperi sul rispetto e l’applicazione della Costituzione. E oggi io penso che se avessimo vinto avremmo avuto grossi problemi principalmente al nostro interno. Per un tasso di riformismo ancora troppo basso tra i vecchi dirigenti del partito'.

1 commento:

Elia Pirone ha detto...

Fortunatamente il PCI non giunse mai al potere, certo che neanche la DC era uno stinco di santo, tuttavia era apprezzabile il suo anticomunismo.

Fortunatamente la maggior parte degli italiani hanno capito gli orrori rossi e hanno relegato la sinistra massimalista fuori dal Parlamento.