HA VISSUTO un’epoca di ferro e di fuoco e l’ha vissuta fino in fondo, guardando in faccia l’orrore. Quell’orrore che per tanti forlivesi ha una sola immagine: i corpi martoriati di Silvio Corbari e dei suoi compagni partigiani impiccati ai lampioni di piazza Saffi. Benito Dazzani, imolese, classe 1926, l’uomo che catturò il temibile ‘bandito Corbara’, è scomparso nei giorni scorsi all’età di 81 anni, minato da un male incurabile. Era stato un fascista entusiasta — «Ero cresciuto in quell’ambiente, per me il fascismo era tutto, era la Patria, era l’onore. Chissà, se fossi nato in Russia forse sarei stato comunista...» — e ad appena 16 anni era scappato di casa per arruolarsi, per combattere contro gli inglesi. Ma dopo l’8 settembre 1943 si era ritrovato a combattere gli italiani. Nel battaglione ‘IX Settembre’ dell’esercito della Repubblica sociale di Mussolini si era guadagnato subito una medaglia, a Sarnano nelle Marche, respingendo un attacco di partigiani e sventando allo stesso tempo una rappresaglia tedesca contro la popolazione locale.
IL SUO REPARTO era arrivato a Castrocaro nell’estate del 1944 proprio per dare la caccia al capo partigiano Silvio Corbari, mito della Resistenza e terrore dei fascisti locali. Il ‘bandito Corbara’ colpiva a sorpresa dall’Appennino alla pianura, godendo dell’appoggio della popolazione e anche di complicità interne al fronte avverso. Il reparto di Dazzani aveva scoperto infatti che alcuni militi fascisti forlivesi rivendevano le armi e passavano informazioni ai partigiani. Nell’indagine era implicato anche il marchese Gian Raniero Paulucci de Calboli, poi passato per le armi. Ma il colpo più grosso dei repubblichini era stata l’individuazione di un ex componente della banda Corbari, cacciato dopo essere stato sorpreso a rubare. «Il traditore, che si chiamava Franco Rossi — raccontò Dazzani — ci guidò al nascondiglio di Corbari, a Cà Cornio sull’Appennino». Nella testimonianza di Dazzani la cattura di Corbari fu un’operazione d’intelligence, come si direbbe oggi, e non quella battaglia campale che è stata raccontata in seguito. «Eravamo solo una decina di soldati, tutti romagnoli, perché il comandante aveva detto che questa era una situazione che dovevamo risolvere tra noi... Non c’erano tedeschi, come si è detto dopo, ma solo un radiotelegrafista altoatesino». E fu proprio lui a scatenare il pandemonio. I soldati repubblichini pensavano infatti di cogliere Corbari e suoi compagni nel sonno, ma il radiotelegrafista fece rumore entrando in casa, forse per rubare qualcosa. La reazione dei partigiani fu intrepida, specie quella di Iris Versari, la donna di Corbari, che si lanciò contro i nemici per dare modo agli altri di scappare. «Un gesto eroico come quello di Claretta Petacci» sosteneva Dazzani.
FALLITA LA SOPRESA, i fascisti si allontanarono temendo l’arrivo di altri partigiani. E invece la pattuglia di Dazzani incrociò nuovamente Corbari, gravemente ferito con Adriano Casadei e Arturo Spazzoli, ormai morente. Portati a Castrocaro, i partigiani vennero impiccati.Poi i loro corpi vennero ‘sequestrati’ dai fascisti forlivesi per l’ultimo barbaro oltraggio in piazza Saffi. «Non avevo mai visto una scena del genere — ricordava Dazzani — Ma purtroppo quella era la guerra civile, anzi la ‘guerra incivile’. Ci si uccideva tra fratelli. E le belve stavano da una parte e dall’altra. Non ho rimorsi perché ho fatto il mio dovere di soldato senza infierire sul nemico, ma vorrei che tutti i giovani conoscessero queste storie per capire che dalla guerra nascono solo odio e vendetta».
Emanuele Chesi
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1 commento:
L'importante è anche ricordarsi chi aveva voluto la guerra e chi - per difendere l'onore di chi l'aveva voluta - ha voluto continuare a farla fino alla distruzione (altrui).
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